martedì 12 settembre 2017

Riflessioni ludiche: il velo di Maya sul gameplay

Recentemente, funestato da uno Skyrim Special Edition che non partiva e da un Mordheim in cui ho buttato davvero troppe ore, ho colto la palla dell'offerta al balzo e ho installato e giocato i due titoli della serie Prototype.



E' dal 2009 che adocchiavo il primo titolo, e l'attesa quasi decennale non è stata vana perché così ho avuto modo di giocarlo dopo essere stato a New York City, potendo quindi apprezzare realmente l'ambientazione del videogioco.


Dunque, videogiochi carini, non troppo brevi, con reale evoluzione dal primo al secondo titolo sia dal punto di vista della trama che del gameplay, e presi a un prezzo stracciato su Steam. Da dove nascono allora le riflessioni ludiche? Beh, quello che segue è uno spoiler per chi non ha giocato i due titoli.

I protagonisti dei due videogiochi sono definiti "prototipi", ma sono in effetti stati infettati da un morbo strano, recentemente mutato, che riporta in vita le persone dopo la morte; di questi morti viventi i più sono semplici carcasse ambulanti, mentre alcuni ottengono una stazza non indifferente e diventano delle bestiacce picchiatrici di prima categoria. Solo alcuni, rari, individui risorgono senza perdere nessuna facoltà e anzi ottenendone di nuove: la capacità di guarire dalle ferite subite, la capacità di assorbire l'essenza vitale di altre creature, la capacità di fluttuare e di camminare sui muri, la capacità di ottenere nuove capacità assorbendole da altri della propria specie.


In pratica, i "prototipi" di Prototype sono vampiri; alimentati a carne e massa corporea anziché di solo sangue, ma pur sempre vampiri. La riflessione non è solo mia, e secondo una rapida ricerca su Google è venuta in mente anche ad altri giocatori; probabilmente, l'aver giocato tutti i titoli della Legacy of Kain e lo splatter di Bloodrayne ha fatto emergere più chiaramente le similitudini. In effetti, Prototype 2 è quasi una versione alternativa di Soul Reaver senza il Reame Spirituale, con più interiora e linguaggio sboccato e meno epica.

Eppure, con delle premesse molto simili basta cambiare alcuni elementi per creare due videogiochi totalmente diversi, due esperienze completamente differenti e due racconti ludici di cui uno ti rimarrà sempre nel cuore, mentre un altro tutto sommato potrai dimenticartelo qualche ora dopo averci giocato.
Il fatto è che, nei prodotti dell'immaginario, tutto ciò che monti sopra l'impalcatura è esso stesso parte della struttura: il velo di Maya che strappi dal gameplay, per dimostrare ad esempio che due videogiochi sono la stessa e identica cosa con due soli cambiamenti, o che due giochi di ruolo hanno una struttura molto simile, è l'epidermide stessa del gioco, così come la scrittura, le figure retoriche e lo stile sono parte integrante di un'opera teatrale. Strappa il velo, e avrai un prodotto scuoiato, un prodotto moribondo, un prodotto dell'immaginario che non è più il prodotto dell'immaginario in questione.

Prendi una qualsiasi edizione di Dungeons & Dragons, e stabilisci che l'esperienza si ottenga sconfiggendo mostri o conquistando tesori o ancora spendendo quei tesori in bagordi: avrai creato dei giochi con esperienze completamente diverse, nonostante la struttura portante rimanga sempre la stessa.

Prendiamo come esempio il primo titolo della Legacy of Kain, quello che ha dato inizio a tutta la saga: Blood Omen.
La storia della vendetta di Kain, risorto come vampiro in un mondo in subbuglio, coinvolto in una storia di vendetta apparentemente più grande di lui e della quale scopre in realtà di essere protagonista predestinato. Nel mondo di Nosgoth ci sono diverse aree, e per raggiungerle tutte Kain avrà bisogno di ottenere nuovi poteri: la capacità di spostare i macigni più pesanti, o di mutarsi in nebbia e camminare sulle acque senza prendere fuoco; o anche solo dovrà impugnare due asce per tagliare gli alberi che bloccano il suo percorso.

Ora, pensiamo a un altro videogioco (anzi, a una coppia di videogiochi) che hanno ugualmente dato il via, nella seconda metà degli anni '90, a una serie di videogiochi molto fortunata e più longeva della Legacy of Kain: i primi due titoli di Pokemon.
Il nostro protagonista, un ragazzino proveniente dalla più pallosamente campagnola delle cittadine, deve catturare, allenare e far evolvere i suoi mostriciattoli tascabili per diventare l'allenatore e collezionista di pokemon numero uno della regione. Alcune aree del continente, però, sono impossibili da raggiungere senza fare ricorso ad alcune mosse speciali che i suoi pokemon dovranno imparare: serve che sappiano spostare i macigni, che siano in grado di trasportarlo sull'acqua, che possano tagliare gli alberi...
Vi ricorda niente?
Diavolo, anche a livello grafico Blood Omen è una versione più sviluppata dei primi Pokemon! E, come se non bastasse, a completare la corrispondenza fra "poteri di movimento" di Blood Omen e macchine nascoste (MN)/equipaggiamento di Pokemon, abbiamo da un lato il potere della luce, la forma di pipistrello per viaggiare e la forma di lupo per correre, dall'altro l'MN "flash", l'MN "volo" e la bicicletta.


Eppure, le due esperienze ludiche che i diversi titoli forniscono sono completamente diverse!

Non basta un "rapporto genetico" per fare di due videogiochi, o di due romanzi, o di due giochi di ruolo, "la stessa cosa". Il fatto che Luciano abbia scritto la sua Storia Vera quasi duemila anni fa non rende la fantascienza satirica un genere smorto, l'epica non è diventata impossibile da scrivere dopo Omero, non è con Menandro che si è smesso di scrivere opere teatrali avendo il genere già espresso cinque maestri.

Similitudini di trama, o di gameplay, o di stile, o di quel che si vuole non sono abbastanza per fare di due titoli la stessa cosa. Le differenze, le scelte strutturali anche minime (l'esempio di D&D di cui sopra) sono spesso sufficienti per cambiare tutta l'esperienza che si ha nel godere di un prodotto di intrattenimento.
Ma non solo: spesso basta anche cambiare il sottile velo che si poggia sulle meccaniche e dinamiche essenziali per cambiare tutto. Prototype 2 non è Soul Reaver, perché anche se interpreti un (simil-)vampiro intenzionato a far fuori il proprio creatore, che uccide i propri "fratelli" rubandone i poteri e ottenendo così le capacità di cui ha bisogno per progredire nella trama, guidato da figure esterne di cui una femminile fortemente legata al "nemico finale" con cui comunque ti sfidi anche a metà gioco, i protagonisti e l'ambiente in cui si muovono è completamente diverso: un mondo fantasy disabitato e ormai in rovina fa da contraltare a una New York contemporanea dove le persone tentano ancora di sopravvivere, i due protagonisti sono un militare stereotipato in cerca di vendetta per la sua famiglia e *contrario* a tutte le brutalità del morbo contro un vampiro-mietitore d'anime in cerca di vendetta per se stesso contro chi ha violato il legame di sangue contro il quale lui stesso nulla aveva finché era il primogenito onorato da tutti, un dio lovecraftiano e uno spirito intrappolato si contrappongono a preti e hacker e militari.




In tanti casi, quello che per alcuni è colore si fa sostanza: nessuno farebbe vedere a un bambino una rappresentazione completa e corretta dell'Amleto di Shakespeare, mentre invece Il Re Leone della Disney è più a misura d'infanzia. E non parliamo del racconto tradizionale da cui il Bardo avrebbe preso ispirazione, in cui la dolce Ofelia era in realtà una meretrice assoldata per vedere se il principe era davvero ammattito o se piuttosto, vista una donna penetrare nottetempo nelle sue stanze, non avrebbe dimostrato di essere dannatamente padrone di sé facendo volar via coperte e veli inibitori!

Perché, per i giochi di ruolo, dovrebbe andare diversamente?
Piccolo spoiler ulteriore: infatti non lo fa. ^^

Per questo, nell'ambito del game design, bisogna stare attenti non solo alle scelte meccaniche, ma anche a quelle apparentemente più semplici. Entrambe possono creare delle grosse conseguenze sul gioco risultante. Come trasformare un aristocratico vampiro che si nutre di sangue con un bacio sul collo in un mostro che si nutre di carne e interiora (come vorrei che l'italiano avesse una parola unica per "gore"), o in uno spettro che ruba le anime dei moribondi, o in un vampiro cinico che il sangue lo fa levitare dritto nella sua bocca senza neanche spaccarsi le mani. Attenzione, eh: alcune sono anche scelte meccaniche, ma hanno e avranno effetti concreti anche sul "tono", sul colore direbbero alcuni, del gioco.

Tutto questo perché, in conclusione? Perché da troppo tempo sto sognando un adattamento della Legacy of Kain ad Anime e Sangue. Ecco, l'ho detto.

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