lunedì 1 dicembre 2014

Croniche pentadiendiare: atto III

Eccoci arrivati al riassunto della terza sessione di gioco. Questa volta, causa impegni del sottoscritto, abbiamo giocato di sabato anziché di domenica e, incredibile ma vero, abbiamo giocato per quattro ore ininterrotte essendoci *tutti*. So' ddisfazioni.


ATTO III


Liberate apparentemente le rovine da qualsivoglia presenza, i nostri si godono il meritato riposo degli eroi. Di nuovo nella foresta si sentono i mille rumori di piccoli animali, tutto è tornato alla normalità ed è giunto il momento di dormire e recuperare le forze.
Secondo lo schema collaudato la notte precedente, forti dell'autunno inoltrato che accorcia le ore di sole, gli avventurieri dividono il loro riposo in tre turni di 4 ore ciascuno:durante il primo sarà Shamash a montare di guardia, seguito poi da Quarion; Nete, fresca di otto ore di sonno ininterrotte, sarà l'ultima a vegliare sul riposo dei suoi compagni.
Tutto procede senza intoppi, anche se nel buio della notte gli occhi del mezz'elfo scorgono altri due occhi gialli che sembrano scrutare il bivacco per poi allontanarsi verso occidente. Quando viene il suo turno, la contessina si risveglia da un sogno molto movimentato nel quale la sua vita si fondeva con le vicende della ormai definitivamente trapassata Lamisha, sogno che si concludeva col suo uccidere se stessa - una cosa molto caotica, turbolenta e inquietante.
Tuttavia, se la barda è inquietata dal suo incubo, lo stregone non trova nulla di strano nell'aver visto due occhi bestiali in una foresta abitata da animali, e non lo riferisce dunque ai suoi compagni. (1)

Così il gruppetto riprende la marcia in direzione di Ponte Nuovo, imbattendosi di nuovo nell'albero là dove Snikko rischiò di diventare cibo per ghiottoni, nell'antico sentiero in rovina e infine nel fiume, il fiume noto come Limeo dacché divide le terre del ducato da quelle ancora fedeli alla corona regale.
Conoscendo già il terreno, ed essendosi messi a letto relativamente presto, i nostri marciano spediti ed è da poche ore passato il mezzogiorno quando, lungo la riva, si imbattono in un cinghiale dalle ragguardevoli dimensioni.
La bestia, alta circa un metro e mezzo al garrese, sembra essere intenta a bere ma, non appena avverte la presenza degli avventurieri, si rivolge verso di loro con aria di sfida: è evidentemente un maschio, forse anche molto territoriale, e non sembra proprio intenzionato a essere *lui* quello che eviterà gli altri.
Cosa fare? Aggirare l'enorme suino per evitare il combattimento o puntare sulla possibilità di trasformarlo in derrate alimentari?
A rompere gli indugi interviene Nete, che usa gli arcani poteri del suo retaggio infernale per dar fuoco ai peli sul muso del cinghiale.
Mentre nell'aere si spande il gustoso odore del maialetto arrosto, e l'orrido verro scuote il muso nella terra per spegnere le fiamme, è chiaro a tutti che ora saranno armi e zanne a parlare.

L'iniziativa è in mano ai nostri eroi, che probabilmente sottovalutano la situazione: solo Quarion ha l'eccellente idea di difendere se stesso con una armatura magica, mentre né il martello di Shamash né lo stocco della barda sembrano bastare ad avere ragione dell'animale.


In compenso la vaga somiglianza fra uno stocco e uno spiedo, atavico incubo di tutti i suini, basta a scatenare l'ira del cinghiale contro Nete, che si ritrova ben presto con un brutto squarcio nell'addome là dove le zanne hanno forato la sua armatura.
Quello che sembrava un semplice arrosto su zampe si rivela ora in tutta la sua pericolosità, e il gruppo corre ai ripari: lo stregone prova ad addormentare il verro, che si rivela però troppo forte per il suo incantesimo di sonno, e il guerriero lo prende a martellate - ma sembra tutto inutile, mentre invece le zanne del cinghiale ammaccano pesantemente l'inguine del dragonide anche sotto la protezione dell'armatura. Dal canto suo la contessina si ritira poco dignitosamente dietro un albero a curare le proprie ferite.
Cambiando tattica, il mezz'elfo usa un dardo incantato per ferire il suino, mentre stavolta l'arma del dragonide fa cilecca: il porco è più agile del previsto.
Nella semplice e alquanto iraconda mente dell'animale il nemico ora è l'ultimo che l'ha colpito, vale a dire il povero Quarion (nella cui fronte, per via dell'ennesimo effetto della sua magia caotica, si è nuovamente aperto un terzo occhio): incurante del colpo che gli arriva da parte di Shamash, il cinghiale si butta in carica contro lo stregone, superando le sue difese magiche e tranciando pelle e intestini.
Il povero mezz'elfo è a terra morente, e solo allora i suoi compagni danno il meglio di sé: Nete riesce nuovamente a far presagire un destino di spiedo al suino, ma è la martellata del dragonide a spaccargli il bacino facendolo capitolare a terra in un mare di sangue.
La barda corre subito a curare lo stregone moribondo, ma ad ogni buon conto il gruppo decide di riposarsi brevemente prima di rimettersi in cammino. Dopotutto, pensano, non c'è nessuna fretta di arrivare a Ponte Nuovo... (2)


E' l'imbrunire quando il terzetto, Shamash con in spalla l'ingombrante cadavere del defunto cinghiale, giunge in prossimità del villaggio.
Che qualcosa non vada si capisce subito, non appena due guardie cittadine intimano loro di farsi riconoscere con una tensione quasi palpabile. Durante l'assenza degli avventurieri, che alcuni davano per morti, sono accaduti due fatti inquietanti: Marisa, una delle figlie del locandiere, è sparita nel nulla, e due pastori asseriscono di aver visto nottetempo una enorme creatura demoniaca portar via due pecore dal loro ovile.
Gli avventurieri vengono subito condotti alla caserma locale (3), dove il capo delle guardie e il borgomastro sono a colloquio. Assieme a loro il povero Atarasso, visibilmente scosso e con l'aria di chi nella notte precedente abbia dormito ben poco.
Il povero locandiere se la prende subito con i tre, rei secondo lui di non essere riusciti a sconfiggere il male che si nasconde nelle rovine avendogli anzi permesso di rapire la sua povera figlioletta. Ma Rufio Salvi e Lucilio Corsi lo invitano a calmarsi, mentre chiedono agli avventurieri di esporre l'esito della loro spedizione. I nostri espongono brevemente gli accadimenti dei giorni precedenti, sottolineando fra l'altro come l'allestire un bel banchetto a partire dalle carni del cinghiale sia una priorità, ma il verro viene rapidamente consegnato ai cacciatori mentre il borgomastro chiede piuttosto al terzetto di fornire qualche prova del loro successo.
Subito il dragonide nomina la, diciamo pure, "piastra pelvica" dell'armatura animata precedentemente sconfitta, ma i suoi compagni ritengono sia più d'effetto mostrare direttamente l'intera armatura, dai colori cangianti e di certo non comune o mondana.
Corsi riconosce su di essa alcuni simboli che sembrano richiamare il Caos, ma non è certo della cosa e preferisce dunque rivolgersi a padre Arminio, il sacerdote locale. Dimostrando una buona dose di saggezza, manda Atarasso a chiamare il prete suggerendogli anzi di trattenersi presso il tempio, là dove la sua famiglia è riunita in preghiera e ha di certo più bisogno di lui.
Il sacerdote arriva poco dopo, ma pur riconoscendo nell'armatura un chiaro artefatto caotico il racconto degli avventurieri non è in grado di dirgli niente. Solo quando i nostri fanno il nome di Agarrex (4) egli è in grado di dar credito alla loro storia, riconoscendo nella corazza una fedele replica dell'armatura indossata dal perfido tiranno dei tempi andati, colui che anche dall'oltretomba tornò a infestare il mondo dei vivi attraverso un rituale di possessione. (5)
Salvi e Corsi danno dunque ragione agli avventurieri sul fatto che abbiano affrontato quel che si nascondeva nelle rovine, anche se non sono certi che abbiano affrontato *tutto* quello che si nascondeva nelle rovine. Come spiegare altrimenti l'enigmatica scomparsa di Marisa Fogliarossa, e l'avvistamento di un'entità demoniaca che ha rubato due pecore?

Chiaramente gli (ancora senza paga) aspiranti eroi vogliono vederci chiaro in questa faccenda, e anche se l'ora è tarda chiedono di essere accompagnati là dove lo strano essere è apparso. I testimoni l'hanno descritto come alto quasi tre metri, ammantato di tenebra e dotato di occhi e fauci fiammeggianti, e in effetti accanto all'ovile si trovano delle grosse tracce di artigli trifidi che scompaiono nella boscaglia.
I nostri decidono allora di controllare il luogo dell'altro mistero, e giungono alla locanda (chiusa da ormai due giorni) dove nel frattempo è tornata la famiglia Fogliarossa; Marta, l'umana moglie di Atarasso, li fa entrare a controllare le camere "purché ritrovino la sua bambina".
Come era stato preannunciato da Rufio Salvi, la stanza di Marisa, posta al pianterreno della locanda, non presenta nessun segno di scasso né di effrazione; il letto è disfatto, segno che la giovane ci ha dormito o quantomeno ha finto di dormirci per un certo lasso di tempo prima di aprire la finestra, calarsi giù e inoltrarsi verso i confini orientali della città. Ad alcuni metri dal bosco le impronte dei piedi nudi della ragazza scompaiono nel nulla, come se lei si fosse volatilizzata via. Il guerriero prova a indagare la profondità delle tracce, per vedere se magari la ragazza ha spiccato un salto in direzione degli alberi, ma niente sembra indicare che sia andata così e d'altro canto le chiome e i rami più vicini sono a svariati metri di distanza. La giovane Marisa sembra essere proprio svanita nel nulla.
Difficile stabilire cosa sia successo: da un lato infatti le figlie del locandiere sono note per la loro reputazione di ragazze diciamo pure "leggere", ma sembra che questa non sia una semplice scappatella amorosa. Nete, ancora turbata dal sogno della notte precedente, è convinta che la folle struttura costruita da Agarrex abbia in qualche modo rapito Marisa Fogliarossa per usarla come sostituta dello spirito di Lamisha, finalmente liberata dalla distruzione dei suoi resti mortali.
Secondo la barda, che abbastanza ovviamente condivide questa idea solo con i suoi compagni, bisogna tornare nuovamente nelle rovine per liberare la giovane. Ma ormai è notte inoltrata, ci sono ancora indagini da fare in paese ed è meglio che i nostri si concedano un po' di riposo.

Gli avventurieri vengono dunque ospitati a casa del borgomastro, poiché la taverna è chiusa. Prima di affidare loro la stanza degli ospiti Lucilio Corsi non può fare a meno di mostrare loro alcuni dei vanti della sua dimora, ivi compresa la mazza da guerra in argento che fu di suo padre, un valente soldato nonché fra i fondatori di Ponte Nuovo.
Al mattino, dopo una piacevole (non per il dragonide: manca la carne!) colazione a base di pane, latte, birra e uova, e dopo che la contessina ha potuto dato istruzioni affinché le serve del borgomastro lavino uno dei suoi abiti, il gruppo riprende le indagini.
Per prima cosa si decide di interrogare nuovamente i due pastori che asseriscono di aver visto l'orrido essere demoniaco reo di aver rubato le loro pecore e forse rapito Marisa. I nostri sospettano che l'avvistamento della creatura sia una menzogna fatta e finita, e che magari i due stiano coprendo qualcos'altro. Decidono perciò di interrogare separatamente i testimoni, mettendo a confronto le loro versioni.
La storia, di base, è la stessa: era calata da poco la notte e i due erano vicini al recinto delle pecore, quando hanno visto una enorme sagoma ammantata di tenebre che sembrava lanciare lampi dagli occhi e sputare fiamme dalla bocca avvicinarsi all'ovile, caricare due pecore sottobraccio e allontanarsi in direzione dei boschi a nord. Quando poco dopo si sono ripresi dallo spavento e sono andati a controllare i pastori hanno visto che le tracce dell'essere svanivano in prossimità della foresta.
Dove i due racconti sembrano divergere è solo nei particolari più generici, indubbiamente legati alla percezione del singolo: che l'immonda creatura fosse alto due metri e mezzo o tre, che fosse fatta di oscurità oppure solo ammantata di tenebre, che soffiasse effettivamente fuoco o meno... è una descrizione così generica che potrebbe trattarsi di qualsiasi creatura infernale o demoniaca di cui i sapienti abbiano notizia. (6)
Quel che invece è interessante è come il secondo pastore induci un pochino nel dire che sono andati "subito dopo" a controllare le tracce: messo alle strette dalla diplomazia del gruppo (7) il pover'uomo passa prima al "poco dopo", per poi ammettere che lui e il compare erano così terrorizzati da essersi concessi un goccetto di grappa prima di andare a controllare le impronte del mostro demoniaco.


Come gli avventurieri capiscono subito, questo cambia tutto: i due pastori non saranno colpevoli, ma la loro suggestionabilità ha fatto sì che il vero colpevole potesse agire indisturbato senza che nessuno vedesse cosa faceva. Urge controllare di nuovo le tracce e, nel fare ciò, i nostri si rendono conto di come le orride impronte trifide e artigliute della creatura siano in realtà dei falsi: probabilmente intagliate nel legno, sono da un lato troppo regolari e dall'altro di diverse dimensioni, come se i due calzari impiegati non fossero abbastanza grandi.
Seguendole fino alla foresta si scopre che, a differenza delle tracce lasciate da Marisa, queste sembrano inoltrarsi per qualche metro fra gli alberi prima di sparire; cosa ancor più importante, queste impronte sembrano esser state cancellate di proposito visto quanto il terreno è smosso là dove esse scompaiono. Sfortunatamente per loro, nessuno fra i tre compagni è in grado di seguire quelle tracce: Shamash un po' se la cavicchia, ma è chiaro che serve l'aiuto di un cacciatore degno di tale nome. (8)

Il gruppo va dunque a cercare i cacciatori, e li ritrova radunati a preparare il cinghiale per farne derrate alimentari; inutile dire che il dragonide, per il quale "mangialo crudo" è un'ottima ricetta e "prima buttalo sul fuoco" il massimo dell'alta cucina, è piuttosto infastidito dal vedere come il suo bottino di caccia stia diventando una derrata alimentare per tutto il villaggio. Riesce però a rimediare uno stinco, e soprattutto Francois Palagini, il mezz'uomo capo degli esploratori, accetta di aiutare gli avventurieri a decifrare le tracce.
Questi, che in precedenza non aveva controllato le tracce (non nasconde di tenerci alquanto alla propria pelle, e di non essere voluto uscire dopo la scomparsa di Marisa Fogliarossa per paura di quel che si nasconde nelle rovine a oriente), le riconosce subito come dei falsi e in poco tempo è in grado di indirizzare il gruppo lungo la pista giusta: le tracce sono state cancellate, ma riesce a scorgere abbastanza bene i segni lasciati dai rami con cui il lavoro è stato fatto. Ad ogni buon conto, Francois chiede al dragonide di precederlo e, fra vedere e non vedere, gli cosparge un po' di sangue di cinghiale sull'armatura: non si sa mai che ci siano dei lupi affamati nelle vicinanze.
Il processo è lungo, la tensione palpabile: per sicurezza Quarion lancia un incantesimo di armatura magica su se stesso e su Nete, ma in questa fase nessuna minaccia sembra palesarsi contro il gruppo.
Dopo qualche ora la ricerca delle tracce si fa più rapida, dato che esse smettono di essere nascoste ed è possibile scorgere distintamente due serie di impronte; entrambe sono lasciate da degli stivali, ma mentre le prima sono di taglia umana le seconde fanno pensare a una creatura ben più alta di qualsiasi essere umano. Non sembrano di un gigante, ma neppure di un orco; qualcosa di intermedio piuttosto. Per qualche minuto gli avventurieri e il cacciatore si arrovellano il cervello cercando di capire a chi possano appartenere quelle tracce, fino a che la barda non si ricorda di una leggenda letta tanto tempo fa, la storia di un eroe che combatté attorno a un fuoco di bivacco contro l'orrido incrocio fra un uomo e un ogre, un mezzo-gigante dalla forza inumana. (9)

La scoperta in qualche modo è confortante, perché riconduce il misterioso avversario a una dimensione più umana, ma questo significa che gli avventurieri dovranno vedersela con un mezzo-ogre... proprio come, stando ad alcuni avvisi di taglia, sarebbe un mezzo-ogre uno dei "fratelli sei-dita", luogotenenti della banda di briganti che disturba i commerci interni al ducato di Aquavernalis.
Intanto le tracce, che in precedenza puntavano a nord, hanno curvato verso sud-ovest e proseguono fino ai Guadi Dei Teschi, così chiamati perché furono sede di una grande battaglia alcune generazioni prima. I guadi offrono un passaggio alternativo al Ponte Nuovo per oltrepassare il Limeo e il suo affluente meridionale, e dopo i due fiumi ecco che le tracce sembrano proprio ricongiungersi alla via principale, la strada lastricata che ancora collega il regno all'ex-contea ormai divenuta ducato.
E' impossibile seguire le tracce da lì in poi, ma visti i nuovi elementi c'è il forte sospetto che il nemico si annidi proprio a Ponte Nuovo e, nel contempo, gli avventurieri hanno il timore che si inizi a sospettare di loro.  La situazione è molto delicata, e Shamash teme che possa essere lo stesso borgomastro la mente dietro agli strani accadimenti: più uno è potente, maggiore è il rischio che divenga corrotto. (10)
Presa la strada principale i quattro tornano rapidamente al villaggio, e come prima cosa vanno a parlare con Rufio Salvi, che sta ancora lavorando nella sua fucina. Il fatto di esser stato preso per il naso fa indignare alquanto il buon fabbro nonché capo delle guardie, che condivide i sospetti  sul coinvolgimento di qualcuno che abita nel villaggio. Con l'aiuto di Francois Palagini si decide dunque di attuare un piano volto a smascherare i rapinatori.
Dato che i ladri non hanno colpito la notte in cui sono tornati gli avventurieri, si decide di spargere la voce che si siano diretti nuovamente alla volta delle rovine orientali, mentre invece loro si limiteranno ad abbandonare il villaggio per accamparsi poco lontano in un rifugio predisposto da Palagini d'onde sia possibile controllare l'ovile sede del furto. Propri là Salvi proporrà di legare due pecore da offrire in tributo al "demone" affinché non decida di rapire qualche altra ragazza; sarà l'esca ideale per attirare i colpevoli, che verranno così sorpresi dagli eroi.

Il trio accetta e lascia in tutta fretta il villaggio, tagliando poi attraverso i boschi e accampandosi nel punto prestabilito. Quarion e Nete, forti della loro capacità di vedere al buio, si dilettano nel giocare a tarocchi mentre al povero dragonide non resta molto da fare se non sgranocchiare quel che resta dello stinco di cinghiale (più un po' di ghiottone frollato avanzato), dato che è imperativo non accendere nessun fuoco che segnali la propria presenza.
Cala la notte, ci si sta quasi preparando a dormire, quando il gruppo sente un ululato da destra, poi uno da sinistra, poi in breve altri due ululati e, eh, ci si era dimenticati dei lupi, vero? Quattro famelici canidi hanno circondato gli avventurieri, e uno di essi in particolare sembra molto grosso e pericoloso.
I tre lupi più piccoli partono immediatamente all'attacco, due contro Shamash e uno contro Nete; sia l'infernale che il dragonide vengono colpiti, ma riescono a evitare di essere buttati a terra dalle belve. Quarion decide di usare un banale incantesimo di luce per permettere al guerriero di vedere cosa sta succedendo, e questi può così alitare il suo veleno sui lupi - con scarsi risultati, dato che gli animali schivano l'attacco; molto più incisivo sarà lo stocco della barda.
Solo allora il lupo più grande, che era rimasto in disparte, carica il gruppo; prova a mordere Shamash, ma l'armatura e lo scudo del dragonide lo proteggono dalle zanne avversarie.
Mentre gli altri lupi attaccano, e uno di essi viene freddato da Nete, il mezz'elfo tenta di addormentare il capobranco che però sembra resistere al suo sonno magico. Maggiore è lo shock provocato al gruppo quando perfino il martello del guerriero, l'impagabile strumento di morte che a tante minacce ha posto termine, sembra quasi rimbalzare addosso al lupo. Questi frattanto, visto che Shamash è troppo corazzato, prova ad attaccare Quarion, ed è solo la sua armatura magica che lo salva dalle fauci.
L'infernale fa fuori un altro lupo, mentre il guerriero tenta inutilmente di ferire il capobranco con una delle sue asce da lancio. Solo il dardo incantato dello stregone, che ha quasi dato fondo alle sue energie magiche, sembra essere in grado di ferirlo. Il lupo sembra quasi sghignazzare quando gli attacchi scivolano via dalla sua pelle come semplice pioggia d'estate.
Nete usa il suo stocco per provare a trafiggere l'irriverente canide, ed esso si dimostra tanto resistente agli attacchi di punta quanto a quelli di botta e di taglio. Ma anche l'altro lupo è stato nel frattempo eliminato dal dragonide, e il mezz'elfo continua a tempestare di magie il capobranco che ancora non riesce a morderlo.
Quasi intuendo la malaparata, l'animale batte in ritirata verso il sole morente (vale a dire a ovest). Poco prima che scompaia la barda prova a lanciare un incantesimo di individuazione del magico, ma il lupo sembra non essere soggetto a nessun incantamento.



La minaccia è sventata, ma gli avventurieri si interrogano su che cosa fosse la creatura che li ha assaliti. Di certo c'è che è d'uopo stabilire anche per quella notte dei turni di guardia, ed è così che ancora una volta il dragonide si prepara a vegliare per primo sul riposo dei suoi compagni.
Se non altro, la notte trascorre senza ulteriori problemi e anche la giornata, fra una partita a carte coi tarocchi della barda e una sfida con gli scacchi del guerriero, viene impegnata a far qualcosa. Verso il tramonto i nostri si spostano nel punto concordato con Rufio e Francois, dove vedono effettivamente le due pecore venire legate in prossimità del bosco.
Come prevedibile, poco dopo il tramonto vengono viste due figure che si avvicinano al limitare del villaggio; una è di taglia umanoide e regge in mano una torcia, mentre l'altra sembra un colosso di due metri e mezzo senza testa. A un cenno della prima la seconda si inchina e, quando si rialza, ha una grossa testa con occhi e fauci fiammeggianti. Il probabile mezzo-ogre si dirige quindi a prendere le pecore, lasciando momentaneamente da solo il suo compagno.
E qui gli avventurieri discutono, o meglio bisbigliano il da farsi: Shamash, che pure non ha visto niente, è per caricare i due nemici e ridurli all'impotenza e all'obbedienza, mentre Quarion vorrebbe usare (per una volta con profitto) il suo incantesimo di sonno; ma i due sarebbero disposti a parlare? Si decide piuttosto di lasciarli agire e seguirli nottetempo per vedere dove andranno.

Ed è così che, tenendosi ben a distanza di sicurezza, gli avventurieri si mettono a seguire i due ladri; la vera discriminante sarà la direzione che prenderanno una volta giunti alla strada: verso il regno o verso Ponte Nuovo?
Con buona pace di chi già si immaginava Lucilio Corsi nel ruolo di mandante di furti e rapimenti, i ladri si dirigono però a meridione, e dopo qualche decina di minuti abbandonano la strada per addentrarsi nuovamente nella boscaglia. Lì si fanno loro incontro una dozzina di individui dotati di fiaccole e vestiti con abiti piuttosto rozzi e pratici; fra loro svetta un individuo dal mantello che dà una pacca sulla schiena al mezzo-ogre non appena questi si avvicina.
Ora gli eroi sanno dove si nascondono i nemici, e sanno anche più o meno quanti sono. Peccato che non sappiano chi sono, né chi sia il misterioso informatore che devono effettivamente avere nel villaggio. E' il momento di indagare nuovamente, ed è lo stesso Rufio Salvi, letteralmente buttato giù dal letto dagli avventurieri, a suggerire di conferire col borgomastro.
Egli si fida di Corsi, da sempre fedele alla comunità, e dopotutto il gruppo prova una ammirazione sconfinata nei confronti del fabbro-soldato (tanto che il dragonide gli chiede di insegnargli a lavorare i metalli, e se la barda non avesse altri orientamenti...).
Da un rapido consulto fra avventurieri e autorità emerge che, a parte loro, l'unico individuo a essersi stabilito di recente nel villaggio sarebbe Antonio, un giovane ragazzo umano, un diciassettenne scappato di casa che si mantiene facendo il garzone per il fattore Mauri', un gioviale mezz'uomo della comunità.

E' con l'aria di chi vuole sentire molte risposte ed è disposto a tutto pur di ottenerle che gli avventurieri si dirigono verso la fattoria di Mauri'. Secondo questi il ragazzo sarebbe un bravo figliolo, che è scappato di casa alla ricerca di un destino migliore: il suo obiettivo è infatti quello di mettere da parte abbastanza soldi per trasferirsi nel regno e, anche se questo fa imbestialire la contessina Nete, per un mezz'uomo non c'è niente di male in ciò. Anzi, il buon giovinetto è anche un esperto di erboristeria, e molto spesso quando ha finito di lavorare nei campi, prima del tramonto, fa una passeggiata lungo il limitare del bosco per raccogliere piante officinali di vario tipo.
Dopo la breve ma *illuminante* chiacchierata col contadino i nostri si dedicano all'interrogatorio del garzone, e non ci vanno per niente teneri.
Per un po' questi sembra voler fare il duro, ma la visione di una donna cornuta dagli occhi fiammeggianti, di un drago antropomorfo dalle zanne insanguinate e di uno stregone che sussurra fra una minaccia e l'altra di essere il più buono del trio (metodo dell'avventuriero buono e dell'avventuriero cattivo) Antonio crolla e svuota il sacco.
Stanco delle scarse prospettive della vita per un villico, aveva lasciato la sua famiglia per unirsi ai briganti di cui tutti parlavano; per una serie di circostanze fortuite si era imbattuto in due dei luogotenenti della banda, i "fratelli sei-dita", proprio quando questi e una dozzina di fedelissimi si erano staccati dal gruppo principale per andare a razziare le più sicure strade al confine fra il regno e il ducato. Data la sua giovane età, ad Antonio è stato affidato il compito di basista a Ponte Nuovo; nel frattempo gli altri briganti razziano le carovane in uscita dal villaggio e quelle che vi ci si stanno dirigendo, avendo cura ogni tanto di lasciar passare qualche viaggiatore per non insospettire le autorità. Non è raro che siano essi stessi a travestirsi da mercanti e ad attraversare il ponte per poi ritornare indietro attraverso i Guadi Dei Teschi.
Subito dopo la scomparsa di Marisa Fogliarossa Askar, il capo della banda, decise di trarne vantaggio per procurare provviste facili ai suoi uomini: fece travestire da demone suo fratello Clars, un mezzo-ogre, e lo mandò nottetempo a rubare il bestiame dei villici. Il resto, come si suol dire, è storia nota.
Una volta che ha confessato Antonio viene nell'ordine addormentato con la magia, legato, caricato sulle spalle di Shamash, imbavagliato non appena si sveglia e inizia a lamentarsi, disconosciuto da Mauri', consegnato a Salvi e sbattuto in cella.

Di positivo c'è che ora gli avventurieri sanno in che punto i briganti sono soliti incontrarsi col loro informatore, e possono così organizzarsi per fare in modo che quella sera i criminali non trovino Antonio ma loro tre, magari accompagnati da qualche guardia cittadina. Tuttavia Rufio Salvi non se la sente di rischiare i pochi uomini che ha a disposizione, e concede soltanto due guardie al gruppo che già si immaginava epici scontri con al fianco il prode fabbro.
Anche se con forze ridotte il gruppo si prepara allo scontro; Shamash e Nete, che sono riusciti a muoversi furtivamente, avanzano fino al punto di incontro dei banditi, mentre Quarion li aspetta in lontananza con le due guardie armate di balestra.

Poco dopo i due criminali arrivano: un anonimo brigante e il mezzo-gigante Clars, con un involto sotto il braccio e la sua pesante ascia bipenne in spalla. L'umano però si accorge subito dell'agguato, e così i nostri non hanno il vantaggio della sorpresa.
Non che questo gli sia di grosso vantaggio però: ricorrendo alla sua tenacia guerriera il dragonide lo colpisce col martello poco dopo avergli vomitato addosso i suoi veleni, e Nete lo finisce con una stoccata.
Ben più tosto si rivela il mezzo-ogre: riavutosi dalla sorpresa, e pur colpito dal dardo di una delle guardie appena sopraggiunte, il bestione accusa gli avventurieri di essere "infidi", e sfida Shamash a singolar tenzone... con meno nobili parole.
Preso da un impeto di testosterone il guerriero accetta, ma anziché l'accetta è la poderosa e gigantesca ascia a due mani del nemico a colpirlo provocando ferite piuttosto gravi, mentre i colpi del suo martello fanno cilecca.
Di tutte queste maschie questioni di onor guerriero se ne frega altamente la barda, che con un insulto magico confonde e danneggia il nemico. Tocca quindi a Quarion, che gli scatena contro un incantesimo solo per venir travolto dalla forza della sua stessa magia caotica che raddoppia immediatamente la sua taglia, facendolo diventare a sua volta un gigante di tre metri.
E qui, mentre il dragonide continua senza troppi risultati a "duellare" col poderoso mezzo-ogre, il mezz'elfo ha l'idea di sfruttare la sua aumentata taglia per andare alle spalle del bruto e immobilizzarlo. (11) Con una fortuna impensabile riesce a trattenere il brigante, ma questo fa sì che Clars sposti la sua attenzione dal guerriero allo stregone: un poderoso fendente di bipenne apre in due il fianco dell'ingigantito Quarion, che crolla a terra agonizzante.
Per sua fortuna ci pensano le guardie e i compagni a far crollare il gigantesco nemico, e subito dopo le parole curative della barda riportano il mezz'elfo al mondo dei vivi e vegeti.

Lo scontro è concluso, ma ancora una volta gli avventurieri sono alle prese con l'amletico dubbio del "cosa fare?": hanno bruciato buona parte delle proprie risorse, e non sarebbe saggio affrontare gli altri banditi in questa situazione; d'altro canto c'è la possibilità che i briganti scappino non vedendo tornare i loro compari. E che fare dei due avversari, dar loro il colpo di grazia o provare a interrogarli?
Alla fine il gruppo propende per l'ultima ipotesi: le ferite dei due briganti vengono tamponate da Quarion, che durante il suo eremitaggio imparò alcuni rudimenti di medicina, i prigionieri vengono legati come salami, rapidamente interrogati (solo l'umano, con l'altro neppure ci si prova), rispediti nel mondo dei sogni, e la compagnia ritorna verso la caserma di Ponte Nuovo.

Rufio è molto contento della cattura di Clars, ma è qui che gli interessi dei singoli e delle collettività iniziano a cozzare: perché egli vorrebbe dividere a metà la taglia sulla testa del brigante, 50 misere monete d'oro, fra la cittadina e gli avventurieri, mentre questi ultimi ci tengono a incassarla tutta loro. E seppure riescano a convincere il non più tanto stimato fabbro a lasciar loro tutto l'incasso, nondimeno non c'è modo per far sì che lui si getti con loro all'assalto subitaneo del covo dei banditi: non può semplicemente permettersi di lasciare la città senza difese. (12)
Alla fine, dopo un combattivo negoziato a base di avventurieri che son tentati di lasciare il villaggio al suo destino, si decide che le due guardie già presenti in scena accompagneranno gli "eroi" contro i briganti superstiti. Stando a quanto ha detto il prigioniero, non dovrebbero essere più di 12 compreso lo stesso Askar. Inoltre, sempre in base al suo interrogatorio, è improbabile che questi voglia allontanarsi senza il fratello.
Insomma, prima di dare l'assalto alle caverne in cui sono asserragliati i banditi c'è tutto il tempo per prendersi una bella nottata di sonno...

... in tutto questo, però, a che cosa alludevano Antonio e l'altro criminale quando parlavano della "madre influente" di cui Askar e Clars si sono vantati diverse volte?




Uscendo nuovamente fuori dalla narrazione per trattare di più becere questioni meccaniche, posso dire che due cose sono emerse preponderanti dall'avventura: la fragilità dello stregone in corpo a corpo e l'alto peso che hanno quei fattori aleatori noti come "culo" e "fanculo, ho fatto 3" nelle più disparate situazioni. Tutto sommato però il regolamento fila abbastanza bene anche nelle situazioni non di combattimento, e anzi in questa sessione molto più di esplorazione e interazione gli scontri sono stati il giusto pepe per tenere alta la tensione e l'attenzione dei giocatori.
Giocatori che, in sostanza, brancolano ancora nel buio per diverse cose... (13)


(1) questo nonostante le numerose domande in tal senso fatte dalla giocatrice di Nete; un eremita talvolta tende a restare sempre sulle sue.

(2) ingenui; come se mai mi avessero avuto come Dungeon Master o Game Master.

(3) Shamash ha ovviamente qualche problema a passare per la porta con l'enorme cinghiale in spalla.

(4) "Come si chiamava il tipo?"
"Boh...."
Dopo una patetica serie di variazioni sul tema "A...r/t...x" ho concesso ai giocatori una prova di Intelligenza per ricordarsi il nome del folle seguace del Caos.

(5) Avventura giocata precedentemente dai giocatori della barda e dello stregone, usando il regolamento de La Marca dell'Est; erano due paladini alle prese con un'infestazione di non morti in un fortino che sorgeva su un'isola, ultimo lembo di terra rimasto quando Agarrex, per annientare l'esercito dell'eroe che pose poi fine alla sua esistenza, fece inabissare il suolo. Una personcella a modo, nevvero?

(6) per dire, potrebbe essere anche un Balrog tolkieniano.
Quando ho fatto questo paragone, negli occhi dei giocatori è passato come un lampo il pensiero del "no, non può essere un balor, siamo solo al 2° livello, no..."

(7) un uomo drago con +1 di Carisma; una infernale con +4 a Intimidire; un mezz'elfo tanto tranquillo, buono e caro con un +5 a Intimidire. Troverebbero lavoro come attori di film horror.

(8) sì, è abbastanza chiaro da questo passo come io Dungeon Master sia un appassionato lettore di fumetti western.

(9) immancabile citazione da Dragonlance.

(10) caotico buono nel midollo.

(11) "Ho vantaggio alle prove di Forza."
"Ma hai un modificatore di -1"
"Ma ho vantaggio."


(12) un normale gruppo di D&D non vuole che il master affianchi PNG potenti che rubino la scena ai PG. Dove ho sbagliato nello scegliermi i giocatori? Dove? Dove?

(13) sì, esatto, anche su quella. Imbarazzante? Forse. Gustoso a posteriori per me perfido master? Parecchio. ^__^

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